Art. 483 – Impugnazione per errore

L’accettazione dell’eredità 1324 c.c. non si può impugnare se è viziata da errore 482, 1427 ss. c.c.(1).

Tuttavia, se si scopre un testamento 587 c.c. del quale non si aveva notizia al tempo dell’accettazione, l’erede non è tenuto a soddisfare i legati 649, 662, 663 c.c. scritti in esso oltre il valore dell’eredità 662, 663 c.c., o con pregiudizio della porzione legittima che gli è dovuta 536 ss. c.c.(2). Se i beni ereditari non bastano a soddisfare tali legati, si riducono proporzionalmente anche i legati scritti in altri testamenti. Se alcuni legatari sono stati già soddisfatti 649 c.c. per intero, contro di loro è data azione di regresso(3).

L’onere di provare il valore dell’eredità incombe all’erede 2697 c.c..

Note

(1)

La norma si applica all’errore vizio, ossia alla falsa rappresentazione della realtà che incide sulla formazione della volontà del soggetto. Tipico esempio di errore vizio è quello sulla consistenza dell’eredità.
Discussa è la rilevanza dell’errore ostativo, quello cioè che determina una divergenza tra la volontà e la dichiarazione (es. il chiamato ha accettato per errore nella dichiarazione l’eredità di Tizio in luogo di quella di Sempronio). Secondo alcuni in tali ipotesi l’accettazione sarebbe annullabile ex art. 1433 del c.c., secondo altri sarebbe nulla.

(2)

L’erede non è chiamato a subire le conseguenze sfavorevoli derivanti dalla scoperta di un successivo testamento. In tal caso sarà tenuto a soddisfare i legati contenuti in tale testamento nei limiti di quanto ricevuto.
Se l’erede è un legittimario è fatta salva la quota di legittima che gli è dovuta.

(3)

Contro i legatari che siano già stati soddisfatti è ammessa l’azione di regresso.

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