Prima d’imprendere la costruzione dell’acquedotto, chi vuol condurre acqua per il fondo altrui deve pagare il valore, secondo la stima, dei terreni da occupare, senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti al fondo, oltre l’indennità per i danni, ivi compresi quelli derivanti dalla separazione in due o più parti o da altro deterioramento 1032 comma 3, 1039 del fondo da intersecare(1)(2).
Per i terreni, però, che sono occupati soltanto per il deposito delle materie estratte e per il getto dello spurgo non si deve pagare che la metà del valore del suolo, e sempre senza detrazione delle imposte e degli altri carichi inerenti; ma nei terreni medesimi il proprietario del fondo servente può fare piantagioni e rimuovere e trasportare le materie ammucchiate, purché tutto segua senza danno dell’acquedotto, del suo spurgo e della sua riparazione.
Note
(1)
L’obbligo di versare l’indennità deriva dalla sentenza che ha stabilito il venire in essere della servitù di acquedotto coattivo e, al contempo, rappresenta un onere al fine di esercitare la servitù medesima.
(2)
Il titolare del fondo dominante, oltre a versare il valore dei terreni da occupare, deve pagare un’indennità atta a bilanciare il sacrificio che il proprietario del fondo servente viene a subire al momento della realizzazione dell’acquedotto.
In essa non sono compresi i danni futuri, passibili di misurazione volta per volta.
Se la costituzione della servitù riguarda un tempo fino ai nove anni (art. 1039 del c.c.), l’indennità spettante al proprietario del fondo dominante corrisponde alla metà di quanto previsto per quella ultranovennale o perpetua ed è accompagnata, dall’obbligo, una volta scaduto il termine, di restituire il suolo occupato e quello circostante nelle stesse condizioni in cui era precedentemente alla costituzione della servitù.