I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento(1) e per il suo valore nominale(2).
Se la somma dovuta era determinata in una moneta che non ha più corso legale al tempo del pagamento(3), questo deve farsi in moneta legale ragguagliata per valore alla prima(4).
Note
(1)
Quindi, ad esempio, può essere legittimamente rifiutato in Italia un pagamento effettuato in dollari. Poiché la consegna del denaro cui è tenuto il debitore rappresenta la sua prestazione, si ritiene che l’adempimento fatto con oggetti diversi dal denaro, ad esempio un assegno, integri una prestazione diversa da quella dovuta e sia da ricondurre alla datio in solutum con relativa disciplina (1197 c.c.). Secondo altra tesi, invece, l’assegno (e affini) hanno raggiunto una diffusione tale da renderli equiparabili al denaro, per cui il rifiuto a riceverli dovrebbe essere valutato alla luce della buona fede (1175 c.c.), potendo anche integrare rifiuto di ricevere la prestazione (1206 c.c.).
(2)
Il principio nominalistico importa che il pagamento dev’essere eseguito con la stessa quantità di denaro prevista nel momento in cui l’obbligazione è sorta. Ad esempio, se il 1° gennaio 2000 Tizio ha comprato un bene e si è obbligato a pagare 100 il 31 dicembre 2014, dovrà adempiere pagando esattamente 100.
Tale principio si applica alle obbligazioni di valuta (il cui oggetto è il denaro sin da quando nascono: ad esempio l’obbligazione di pagare il prezzo di un bene compravenduto) ma non alle obbligazioni di valore (in cui il denaro è sostitutivo di una prestazione in origine diversa: ad esempio il risarcimento per illecito aquiliano). La liquidazione delle obbligazioni di valore esige la quantificazione monetaria del valore che l’obbligazione aveva quando è sorta, quindi la rivalutazione al momento della liquidazione, infine la liquidazione dell’ulteriore danno da ritardo.
Poiché il principio nominalistico fa gravare sul creditore il rischio di svalutazione monetaria e sul debitore quello di rivalutazione, le parti possono ancorare la determinazione della somma dovuta ai parametri che misurano tale modifiche indicati dall’ISTAT attraverso le c.d. clausole di indicizzazione.
(3)
Si pensi ad esempio a lira ed euro.
(4)
Sulla rivalutazione delle rendite vitalizie in denaro, si veda la l. 24 febbraio 1953, n. 90 (Norme per la rivalutazione delle rendite vitalizie in denaro). Si veda anche il d.lgs. 24 giugno 1998, n. 213 (Introduzione dell’euro).