Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa(1).
Note
(1)
Dall’entrata in vigore della L. 219/2012, tutte le disposizioni di legge ove si fa riferimento ai termini figli legittimi o naturali vengono sostituite dalla parola “figli”. Già dal punto di vista sistematico è variata l’architettura codicistica: il Titolo IX del libro I del codice civile non è più intitolato “Della potestà dei genitori”, bensì “Potestà dei genitori e diritti e doveri del figlio”. Nello specifico della nuova disposizione in esame, inserita con la L. 219/2012, si nota come venga riconosciuta maggior centralità al ruolo del minore tanto all’interno del processo che lo riguardasse (conferendo maggiori possibilità di ascolto del minore), quanto nella relazione con i genitori (implementando il concetto di responsabilità genitoriale).
L’art. 315 bis c.c. dedica i primi tre commi all’elencazione dei diritti del figlio (punto di arrivo di istanze comunitarie cui il legislatore italiano era da tempo sfuggito), ed il successivo quarto comma al dovere dello stesso di rispettare i genitori, di contribuire al mantenimento della famiglia, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze ed al proprie reddito, finché convive con essa.