Art. 230 bis – Impresa familiare

(1)Salvo che sia configurabile un diverso rapporto 2094,2251 (2), il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro(3) nella famiglia(4) o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato 36 Cost. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa(5). I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire(6) sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi 316.

Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo 37 Cost.(7).

Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge(8), i parenti entro il terzo grado(9); gli affini 78 entro il secondo(10); per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.

Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi(11). Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro(12), ed altresì in caso di alienazione dell’azienda(13). Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice.

In caso di divisione ereditaria 713 ss. c.c. o di trasferimento dell’azienda 2556 i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull’azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell’articolo 732.

Le comunioni tacite familiari nell’esercizio dell’agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme(14).

Note

(1)

L’articolo e la sezione VI sono stati inseriti dall’art. 89 della L. 19 maggio 1975 n. 151.

(2)

Il diverso rapporto configurabile potrebbe essere rappresentato dal rapporto di lavoro subordinato (di cui all’art. 2214 del c.c.), dal contratto di società (di cui all’art. 2251 del c.c.) oppure dall’associazione in partecipazione (di cui all’art. 2549 del c.c.).

(3)

L’attività di lavoro è ampia, e spazia dall’attività commerciale, a quella industriale, a quella agricola, ed escludendovi quelle assicurative e bancarie; le mansioni da svolgersi all’interno dell’impresa familiare potranno quindi consistere in attività manuali, intellettuali, di manodopera o gestorie, sino alle funzioni esecutive e decisionali (come la cessazione dell’impresa).

(4)

Non sempre il lavoro domestico, svolto all’interno della famiglia, rileva per l’impresa familiare: esso deve effettivamente costituire un contributo per l’impresa, e tale contributo potrà ben essere l’assunzione in via esclusiva dei compiti familiari, tale da permettere al coniuge di dedicarsi totalmente all’accrescimento della produttività d’impresa (così Cass. 11007/1998).

(5)

Le modalità di calcolo, non sussistendo quote, riguarderanno la volontà di ciascun partecipe espressa per capo, quindi a maggioranza di partecipanti aventi tutti il medesimo peso.

(6)

Ci si riferisce ai casi di incapacità di agire, di minore età (art. 2 del c.c.) e di interdizione (art. 414 del c.c.).

(7)

Relativamente all’attività di collaborazione domestica, esso non è ritenuto sufficiente a giustificare la partecipazione del coniuge all’impresa familiare, dovendosi configurare entrambi i requisiti della continuatività e dell’accrescimento della produttività dell’impresa; pertanto l’applicabilità del principio che si desume anche dall’art. 37 Cost. avviene qualora siano svolte le stesse mansioni.

(8)

Certamente la cessazione del rapporto matrimoniale fa venire meno l’impresa familiare in ragione dell’inconfigurabilità di un persistente rapporto di coniugio (e del venir meno della stessa ratio); tale automatica conseguenza non potrà invece desumersi dalla mera separazione personale (legale e – a fortiori – di fatto), che non pone nel nulla il vincolo matrimoniale.

(9)

Già prima partecipavano tutti i figli; con L. 219/2012 si è rafforzata tale parità tra figli legittimi, naturali ed adottivi, indipendentemente dal loro status. Si veda il novellato art. 315 del c.c., rubricato “Stato giuridico della filiazione” e che recita: “Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”.

(10)

Il rapporto di parentela non è da intendersi solo con il coniuge-imprenditore, ma anche con il di lui coniuge.

(11)

A pena di inefficacia.

(12)

Il diritto di partecipazione potrà cessare a seguito del recesso del titolare (trattasi di diritto potestativo), per i fatti soggettivi connessi alla vita del familiare (ad es. la morte o l’età talmente avanzata da non consentirne un esercizio lavorativo), o per fatti strettamente attinenti all’attività imprenditoriale.

(13)

Il familiare potrà cedere il diritto di partecipare, privilegiando però coloro che hanno operato nella stessa azienda e solo con il consenso unanime di tutti coloro che già partecipano all’impresa.

(14)

Anche alla comunione tacita familiare si applicano le medesime norme or ora descritte per l’impresa familiare, oltre all’integrazione apportata dagli usi vigenti nel settore agricolo qualora compatibili, al fine di consentire l’estensione delle garanzie operanti per l’impresa familiare anche alla fattispecie qui emergente.

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