Finanziamento soci e requisiti dell’enunciazione: è necessario che le circostanze enunciate siano idonee di per sè stesse, e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto, a dare certezza di quel rapporto giuridico.

La Corte di Cassazione censura le doglianze dell’Agenzia delle Entrate statuendo, tra l’altro, che:

– qualora in un atto notarile vengano enunciate disposizioni di altri atti, scritti o verbali, posti in essere dalle stesse parti, ma non già registrati, l’imposta di registro dovuta per questi deve qualificarsi come imposta principale e, in rettifica dell’autoliquidazione, l’amministrazione può legittimamente richiederla emettendo un avviso di liquidazione, purché, trattandosi di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso, gli effetti di essi non siano già cessati o cessino con l’atto che li enuncia;

– la tassazione per enunciazione (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22) presuppone “l’autonomia giuridica oggettuale dell’enunciazione (delle disposizioni enunciate), l’identità delle parti dell’atto enunciante e dell’atto enunciato, la permanenza degli effetti di quest’ultimo”; e, in particolare, che l’atto enunciato sia apprezzabile “ab intrinseco, senza ulteriori accertamenti di fatto o comunque extratestuali né valutazioni di particolare complessità giuridica, ché altrimenti, quantomeno, si renderebbe necessaria l’adozione di una forma provvedimentale impositiva diversa da quella adottata in concreto (avviso di liquidazione) ossia l’emissione di un avviso di accertamento”;

– la tassazione per enunciazione non può operare se nell’atto soggetto a registrazione siano menzionate circostanze dalle quali possa solo dedursi che esiste tra le parti il rapporto giuridico non denunciato, essendo sempre necessario che le circostanze enunciate siano idonee di per sè stesse, e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto, a dare certezza di quel rapporto giuridico (così Cass., 13 novembre 2020, n. 25706; Cass., 6 novembre 2019, n. 28559).

Corte di cassazione civile, sez. V, 31 gennaio 2024 n. 2910

Svolgimento del processo
1. Il notaio A. ha impugnato l’avviso di liquidazione, notificatogli in data 24 settembre 2015, con il quale l’Agenzia delle Entrate ha accertato nei suoi confronti, in qualità di responsabile d’imposta, la maggiore imposta principale relativa ad un verbale di assemblea straordinaria di aumento di capitale sociale della Peoplelink Srl, nel quale è stato enunciato un contratto di finanziamento soci, non registrato effettuato dal socio B..
2. Il ricorso è stato accolto in primo grado, con sentenza confermata in appello. Nella sentenza di secondo grado si legge: “non sussiste alcuna solidarietà del notaio rogante, non essendo sufficiente al riguardo la mera enunciazione del contratto di mutuo inter alios stipulato …senza sottacere che la menzione contenuta nel verbale di assemblea ricevuta dal notaio si limita ad esprimere l’esistenza di un mutuo del socio come risultante dalle scritture contabili della società, senza alcuna indicazione degli elementi essenziali dell’atto enunciato perché si possa considerare incorporato nell’atto enunciante”.
3. Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, formulando un unico motivo.
4. Si è costituito con controricorso il notaio.
5. La Procura Generale della Cassazione ha depositato conclusioni scritte, con cui ha chiesto accogliersi il ricorso.
6. La causa, all’esito di trasmissione dalla Sesta alla Quinta Sezione, è stata trattata all’udienza pubblica del 17 gennaio 2024, in cui è stata decisa.
Motivi della decisione
1. La ricorrente, con l’unico motivo, ha denunciato la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 10 e 22, comma 1, del d.P.R. 131 del 1986, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., ritenendo erronea, da un lato, l’esclusione, da parte dei giudici di merito, della responsabilità solidale del notaio per l’imposta del registro dovuta in ordine agli atti enunciati in quelli da lui ricevuti – responsabilità solidale desumibile dall’interpretazione sistematica degli artt. 10 e 22 menzionati -e, dall’altro lato, l’affermato difetto di enunciazione in presenza dell’indicazione di tutti gli elementi del finanziamento del socio alla società nel verbale assembleare (verbale in cui si legge: “il componente socio B., a copertura e a totale liberazione dell’aumento di capitale come sopra sottoscritto in proporzione alla propria quota di partecipazione e così per Euro 699.260, conviene di liberare tale aumento mediante utilizzo di parte del finanziamento effettuato dal medesimo alla società, rinunciando pertanto al rispettivo credito vantato di complessivi Euro 1.000.000 per Euro 450.000,00 , venendo così il suddetto finanziamento ridotto ad Euro 550.000,00 e per la restante parte mediante…”).
Invero, l’unica censura denuncia, in modo chiaro, due distinti ed autonomi profili (uno relativo alla responsabilità solidale del notaio per l’imposta di registro dovuta in caso di enunciazione, in atto da lui rogato, di un altro atto intervenuto tra le medesime parti e non registrato; l’altro relativo ai presupposti dell’enunciazione). Le Sezioni Unite hanno chiarito che il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta, come in effetti accade nel caso di specie, di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., Sez. U, 6 maggio 2015, n. 9100).
2. Per quanto concerne la responsabilità solidale del notaio, alla luce del recente chiarimento delle Sezioni Unite, secondo cui qualora in un atto notarile vengano enunciate disposizioni di altri atti, scritti o verbali, posti in essere dalle stesse parti, ma non già registrati, l’imposta di registro dovuta per questi deve qualificarsi come imposta principale e, in rettifica dell’autoliquidazione, l’amministrazione può legittimamente richiederla emettendo un avviso di liquidazione, purché, trattandosi di contratti verbali non soggetti a registrazione in termine fisso, gli effetti di essi non siano già cessati o cessino con l’atto che li enuncia; in tal caso, ai sensi dell’art. 57, comma 1, d.P.R. n. 131 del 1986, il notaio che ha rogato o autenticato l’atto enunciante è responsabile per il pagamento dell’imposta in solido con le parti dell’atto stesso (Cass., Sez. U., 24 maggio 2023, n. 14432).
La fondatezza di tale doglianza non è, però, sufficiente ai fini dell’accoglimento del ricorso, atteso che la sentenza si fonda su due autonome rationes decidendi, ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla (v. Cass., Sez. III, 24 maggio 2006, n. 12372, quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile, da un lato, che il soccombente censuri tutte le riferite rationes, dall’altro che tali censure risultino tutte fondate).
3. Per quanto concerne l’ulteriore doglianza, avente ad oggetto la ritenuta esclusione della completezza dell’enunciazione, ai fini dell’art. 22 del d.P.R. n. 131 del 1986, premesso che le ordinanze interlocutorie sono sempre modificabili e revocabili, ai sensi dell’art. 177 cod.proc.civ., occorre soffermarsi sulla sua ammissibilità.
La censura, in tale parte, pur denunciando la violazione di legge, contesta in realtà la negata completezza dell’enunciazione dell’atto di finanziamento nel verbale assembleare, come accertata dal giudice di merito.
3.1. Le Sezioni Unite della Corte hanno di recente evidenziato che la tassazione per enunciazione (d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 22) presuppone “l’autonomia giuridica oggettuale dell’enunciazione (delle disposizioni enunciate), l’identità delle parti dell’atto enunciante e dell’atto enunciato, la permanenza degli effetti di quest’ultimo”; e, in particolare, che l’atto enunciato sia apprezzabile “ab intrinseco, senza ulteriori accertamenti di fatto o comunque extratestuali né valutazioni di particolare complessità giuridica, ché altrimenti, quantomeno, si renderebbe necessaria l’adozione di una forma provvedimentale impositiva diversa da quella adottata in concreto (avviso di liquidazione) ossia l’emissione di un avviso di accertamento” (Cass., Sez. U., 24 maggio 2023, n. 14432). Del resto, la Corte aveva avuto già modo di rilevare che, per potersi configurare la enunciazione, è necessario che nell’atto sottoposto a registrazione vi sia espresso richiamo al negozio posto in essere, sia che si tratti di atto scritto o di contratto verbale, con specifica menzione di tutti gli elementi costitutivi di esso che servono ad identificarne la natura ed il contenuto in modo tale che lo stesso potrebbe essere registrato come atto a sé stante; e che, dunque, la tassazione per enunciazione non può operare se nell’atto soggetto a registrazione siano menzionate circostanze dalle quali possa solo dedursi che esiste tra le parti il rapporto giuridico non denunciato, essendo sempre necessario che le circostanze enunciate siano idonee di per sè stesse, e quindi senza necessità di ricorrere ad elementi non contenuti nell’atto, a dare certezza di quel rapporto giuridico (così Cass., 13 novembre 2020, n. 25706; Cass., 6 novembre 2019, n. 28559).
3.2. A detti principi di diritto si è, in effetti, attenuto il giudice del gravame svolgendo sul punto uno specifico accertamento in fatto: “la menzione contenuta nel verbale di assemblea ricevuta dal notaio si limita ad esprimere l’esistenza di un mutuo del socio come risultante dalle scritture contabili della società, senza alcuna indicazione degli elementi essenziali dell’atto enunciato perché si possa considerare incorporato nell’atto enunciante” -ad esempio, senza alcuna indicazione della gratuità o onerosità del finanziamento, degli estremi della datio, dei termini e modalità della restituzione.
Il motivo di ricorso dell’Agenzia tende, in questa parte, a rimettere in discussione detto accertamento in fatto senza considerare, però, che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge (e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa), laddove l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito che è sottoposta al sindacato di legittimità nei limiti delineati (ora) dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (in questo senso vedi, tra le tante, Sez. V, 26 settembre 2023, n. 27981).
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (v. Cass., 27 luglio 2023, n. 22938; Cass., 5 febbraio 2019, n. 3340; Cass., 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass., 11 gennaio 2016, n. 195; Cass., 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. Sez. U., 5 maggio 2006, n. 10313; Cass., 11 agosto 2004, n. 15499).
Per di più, nella fattispecie, l’accertamento in fatto condotto dal giudice del gravame integra una mera conferma dell’analogo accertamento svolto dalla pronuncia del primo giudice, così che con la contestazione di un siffatto accertamento l’Agenzia tende, in effetti, ad eludere lo stesso profilo di inammissibilità correlato alla cd. doppia conforme (art. 348-ter, quarto comma, cod. proc. civ., ora art. 360, quarto comma, cod. proc. civ.). Va, difatti, ribadito che, nell’ipotesi di “doppia conforme” (che ricorre nel caso di specie), il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile, ai sensi dell’art. 348-ter, ultimo comma, cod.proc.civ., se non indica le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947; v. anche Cass., Sez. I, 22 dicembre 2016, n. 26774, secondo cui nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse).
La doglianza è, pertanto, inammissibile in tale parte.
4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 5.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge.

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